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SMART WORKING: INCIDENTE MENTRE PRENDE LA FIGLIA A SCUOLA È INFORTUNIO SUL LAVORO

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  • On Ottobre 4, 2024
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Il Tribunale di Milano dà ragione a una lavoratrice che aveva richiesto l’indennizzo all’Inail per il danno biologico causato dall’infortunio.

Ha per oggetto un “infortunio in itinere” la controversia di primo grado sorta tra una lavoratrice e l’Inail presso la sezione lavoro del Tribunale di Milano. La donna infatti aveva richiesto all’Istituto un indennizzo per infortunio sul lavoro che le era però stato rifiutato. La corte ambrosiana invece le ha dato ragione.

I fatti

Il 23 settembre 2020 la lavoratrice, dipendente dell’Agenzia delle Accise, Dogane e Monopoli con contratto di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato e collocata in smart working dall’11/3/2020, quale misura di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, stava svolgendo l’attività lavorativa presso la propria abitazione, così come stabilito sulla base della programmazione bisettimanale della Sezione cui era assegnata. Con e-mail delle 11:38 la donna aveva avvertito l’Ufficio che quel giorno si sarebbe assentata dalle 12:15 per prendere la figlia di 7 anni da scuola. Mentre era per strada, però, la lavoratrice era “rovinata improvvisamente al suolo, durante il percorso a piedi, alle ore 12.20 – 12.25 circa, provocandosi distorsione piede DX ed escoriazioni al ginocchio SX”. Giunta al Pronto Soccorso, la donna aveva, dunque, denunciato l’infortunio sul lavoro. Tuttavia, il 13.3.2021 l’INAIL aveva definito negativamente l’infortunio con la seguente motivazione: “l’infortunio non risulta avvenuto per rischio lavorativo, bensì per il verificarsi di rischio generico incombente su tutti i cittadini e comune ad altre situazioni del vivere quotidiano.”.

La donna aveva quindi proposto ricorso amministrativo riscontrato negativamente dall’Istituto in data 18/03/2022, pertanto, la stessa ha inoltrato ricorso alla sezione lavoro del Tribunale di Milano.

Le motivazioni dell’Inail

Per l’Istituto l’infortunio in questione non sarebbe in itinere, in quanto avvenuto mentre il lavoratore godeva di un permesso per motivi personali, ed infatti, a parere dell’INAIL,

allorquando il lavoratore chieda e goda di un permesso, ogni legame con l’attività lavorativa cessa, non essendo configurabile alcun percorso necessitato, tantomeno predeterminato o predeterminabile. La fruizione di un permesso di lavoro per motivi personali interrompe ex sé il nesso rispetto all’attività lavorativa, con conseguente non indennizzabilità dell’evento infortunistico verificatosi nel percorso normale per rientrare al lavoro…

La difesa della ricorrente 

La ricorrente, dal canto suo, ha richiamato una pronuncia della Suprema Corte che ha affermato che l’infortunio in itinere è ricompreso nella tutela Inail anche nell’ipotesi in cui il lavoratore percorra il tragitto in fruizione di un permesso per motivi personali (Cass. ord. n. 18659/2020), peraltro, la stessa circolare Inail n. 62 del 18 dicembre 2014 ha chiarito a quali condizioni risultano indennizzabili gli infortuni in itinere occorsi nel tragitto casa-lavoro interrotto o deviato per accompagnare il proprio figlio a scuola.

Inoltre l’art. 2, comma, T.U. n. 1124/1965, nel testo applicabile ratione temporis risultante dalla modifica apportata dall’art. 12, d.lgs. n. 38/2000, prevede che

salvo il caso di interruzione o deviazione del tutto indipendenti dal lavoro o, comunque, non necessitate, l’assicurazione comprende gli infortuni occorsi alle persone assicurate durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro,

precisando che

l’interruzione e la deviazione si intendono necessitate quando sono dovute a cause di forza maggiore, ad esigenze essenziali ed improrogabili o all’adempimento di obblighi penalmente rilevanti” e che “l’assicurazione opera anche nel caso di utilizzo del mezzo di trasporto privato, purché necessitato”, mentre “restano […] esclusi gli infortuni direttamente cagionati dall’abuso di alcolici e di psicofarmaci o dall’uso non terapeutico di stupefacenti ed allucinogeni”, nonché quelli avvenuti nell’ipotesi che il conducente sia “sprovvisto della prescritta abilitazione di guida.

La sentenza del Tribunale

Secondo la Suprema Corte il lavoratore è quindi tutelato tutte le volte in cui si allontani dall’azienda e vi faccia ritorno in occasione della sospensione dell’attività lavorativa dovuta a pause, riposi e permessi; ciò sul presupposto dell’identità ontologica delle tipologie di sospensione lavorativa indicate e della non configurabilità di un vuoto di tutela ogni volta in cui, per fruire di diritti connessi alla esecuzione della prestazione lavorativa, il lavoratore si allontani dalla sede aziendale. […] I periodi di permesso retribuito consentono, quindi, il godimento di diritti costituzionalmente garantiti, costituendo una delle forme mediante le quali è data attuazione ai principi costituzionali di solidarietà sociale ed uguaglianza. […] Non può, pertanto, sostenersi che il lavoratore, mentre esercita un diritto alla sospensione dell’attività lavorativa riconosciuto dalla legge per le ragioni sopra evidenziate, non sia tutelato durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro.

Non può, in altre parole, dirsi che “la fruizione di un permesso di lavoro per motivi personali interrompe ex sé il nesso rispetto all’attività lavorativa”: ciò proprio in considerazione del fatto che la sospensione dell’attività lavorativa in questione trova copertura nelle norme dell’ordinamento lavoristico a mezzo delle quali il Legislatore ha di volta in volta operato il contemperamento citato e che concorrono a regolamentare il rapporto a tutela dei diritti del lavoratore come persona.

Secondo il Tribunale quindi la tesi dell’Inail non può essere condivisa, inoltre, in questo caso, il permesso è stato chiesto dalla ricorrente per prendere la propria figlia minore a scuola: la temporanea sospensione dell’attività lavorativa si ricollega, quindi, all’adempimento dei doveri genitoriali.

La sentenza per intero

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