Sembra muoversi con una relativa speditezza la riforma del processo penale ordinario nel segno della semplificazione e della deflazione: rimane per il momento in stand by un’eventuale riflessione sulla responsabilità “da reato” degli enti che – in un ventennio dalla sua introduzione – si caratterizza essenzialmente per la crescita esponenziale.
La delega al Governo per l’efficienza del processo penale – oggetto di disegno di legge A.C. 2435 – non prende in considerazione il processo penale previsto dal D.Lgs. n. 231/2001 per l’accertamento degli illeciti “da reato” degli enti e la sanzione della responsabilità amministrativa eventualmente accertata.
Una scelta che, di per sé, non va letta come disconoscimento dei problemi posti dal sistema 231 nell’ultimo ventennio, ma – più semplicemente – come graduazione degli interventi da porre in essere secondo una gerarchia che vede al primo posto il processo penale alla persona fisica e non quello alla persona giuridica.
La scelta ha una base logica rappresentata dai numeri: nonostante l’imperioso aumento dei reati che determinano una responsabilità degli enti, infinitamente superiore è il numero dei reati attribuiti alla persona fisica ai quali l’ordinamento giuridico deve garantire una sollecita risposta sia per dare un seguito alla domanda di giustizia delle vittime (e della collettività), sia per assicurare la rapida uscita dal circuito processuale di quanti – pur presunti innocenti – si trovino, loro malgrado, in esso coinvolti.
La Commissione di studio, nominata dal Ministro della Giustizia Marta Cartabia, ha depositato il 24 maggio 2021 “la relazione finale” con plurime proposte di riforma in tema di processo, di sistema sanzionatorio penale e in materia di prescrizione dal reato: coerentemente con il mandato ricevuto, l’intervento non appare rilevante nel processo a carico degli enti, ma così non è a causa dei molteplici profili di connessione e di intersecazione di disciplina.
Innanzitutto, se è vero che il procedimento penale a carico degli enti ha norme sue proprie, valide specificamente e soltanto nel sistema 231 (ad esempio articoli 55, 58 e 62-64, D.Lgs. n. 231/2001), è anche vero che – per quanto non previsto – è consentito il richiamo alla normativa processuale penale generale “in quanto compatibile” (art. 34), il che determina un costante travaso dello ius novum processuale nel procedimento di accertamento dell’illecito amministrativo dell’ente e il perenne interrogativo su come dare seguito alla necessaria integrazione di norme stratificate (per esemplificare, si pensi alla “contumacia” dell’ente dopo il mutamento della disciplina generale in materia).
Le proposte di riforma si traducono in un complesso articolato che qui può essere preso in considerazione solo marginalmente: ad esempio, vi è il dichiarato obiettivo di limitare la legittimazione alla costituzione di parte civile e, al contempo, di adeguare la normativa interna agli standard comunitari di protezione delle vittime del reato. Ciò determinerà un superamento della attuale (condivisile) giurisprudenza che esclude l’ammissibilità di parte civile direttamente contro l’ente imputato o prevarrà l’obiettivo – pure espressamente indicato – di realizzare “interventi deflativi, di natura processuale e sostanziale” non solo per ridurre il “numero eccessivo” dei procedimenti, ma anche per ridurre la pesantezza di quelli da celebrare?
Il sensibile allargamento del campo di applicazione della esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 9 ter come proposto) e il ricordato fine di rinunciare a procedimenti per fatti di minima offensività apriranno l’accesso all’istituto di cui all’art. 131-bis c.p. anche agli enti, oltre che alle persone fisiche, sulla scia di quanto già anticipato dal legislatore ordinario con la riforma del reato di false comunicazioni sociali (che, se particolarmente tenue, non determina responsabilità dell’ente)?
Non sarebbe forse il caso di chiarire, con apposita ed esplicita norma, che l’autonomia della responsabilità dell’ente (e cioè la prosecuzione del procedimento contro l’ente dopo la chiusura di quello a carico della persona fisica) non sopravvive comunque all’applicazione di una causa di non punibilità del reato presupposto e che è ingiustificata la soluzione ermeneutica, oggi prevalente, che estende il divieto valido per le cause estintive diverse dall’amnistia al diverso istituto della causa di non punibilità (vedi art. 11 del D.Lgs. n. 231/2001)?
Una proposta di riforma – di sicuro interesse per l’ente – è rinvenibile nell’art. 7-bis d.d.l. A.C. 2435, in tema di amministrazione dei beni in sequestro e di esecuzione della confisca, nella parte in cui richiama (e rafforza) la lex generalis di cui al vigente art. 104 bis disp. att. c.p.p.
L’interesse a che la misura di cautela reale non sia meramente passiva (e cioè custodiale dell’esistente), ma proiettata a salvaguardare la vitalità e l’operatività dell’impresa/azienda/società sequestrata, non solo è dimostrazione di sensibilità per i soggetti loro malgrado coinvolti in un procedimento penale a carico di altri, ma può realizzare una sorta di “rieducazione” dell’ente coinvolto nell’illecito, in quanto destinatario di modalità di misure (e/o sanzioni) che non escludono – ed, anzi, favoriscono – un futuro imprenditoriale ovviamente nell’ambito e nel rispetto della legalità: una norma, quindi, che interessa esclusivamente le società e le realtà imprenditoriali intrinsecamente sane e che non si presta a strumentalizzazioni e/o a tutela indiretta di aziende oggettivamente criminali, anche se formalmente inserite nel contesto economico e produttivo.
L’analisi dei contenuti propositivi della “relazione finale” della Commissione ministeriale potrebbe continuare – con maggiore approfondimento – e potrebbe far emergere ulteriori profili di sicuro interesse per il sistema 231 (si pensi ai rapporti tra la prescrizione del reato attribuito alla persona fisica e la prescrizione dell’illecito amministrativo attribuito all’ente, di cui agli artt. 22 e 60 D.Lgs. n. 231/2001), ma ogni ulteriore “scoperta” in tal senso non elimina l’esigenza di fondo di un approccio non episodico, né casuale alla disciplina della responsabilità “da reato” degli enti in quanto l’ente imputato non si risolve in un profilo attinente un determinato soggetto (sia pure non fisico), ma delinea possibili (ed importanti) ricadute sul tessuto economico e sui livelli occupazionali cui il legislatore non può non manifestare attenzione in una situazione di fisiologico andamento dell’economia e, a maggior ragione, in un contesto emergenziale che moltiplica ed acuisce i profili di tensione e di attrito.
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IPSOA Quotidiano
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