Reati 231 e responsabilità civile: i disorientamenti giurisprudenziali penalizzano le imprese
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- On Marzo 1, 2021
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Allargare la responsabilità amministrativa degli enti introducendo nuove fattispecie di reato che la determinano (tra le ultime, e più rilevanti, i reati tributari) e affiancare pretese privatistiche alla domanda pubblica portata avanti dal PM significa aggravare (i costi del) la difesa dell’ente in un contesto legislativo che già vede le imprese chiamate a rispondere di oneri propri e impropri. Sempre più si avverte la necessità di un intervento legislativo che risponda alle esigenze e agli interrogativi posti dall’emergenza Covid e che non consenta fughe in avanti a parte della giurisprudenza. Tolleranza zero, ma nessuno spazio ad accanimenti anti-imprenditoriali che, traducendosi in minori investimenti e minore capacità operativa, aggraverebbero situazioni aziendali già compromessi.
La riforma della giustizia (civile, ma anche penale) è tornata ad essere un elemento costitutivo della politica legislativa che il nuovo Governo e la nuova maggioranza parlamentare intendono realizzare: in gioco vi sono gli investimenti dall’estero, la vitalità del sistema economico nazionale, la capacità di iniziativa imprenditoriale diretta alla produzione di beni e servizi, alla tutela dei livelli occupazionali e – possibilmente – al loro incremento.
Se la legislazione o la sua interpretazione giurisprudenziale creano ostacoli nuovi, invece di rimuoverli, è difficile pensare a quella ripresa post emergenza Covid di cui l’Italia ha assoluto bisogno.
In non casuale coincidenza, mentre il Tribunale di Lecce, con ordinanza 29 gennaio 2021, ammetteva la costituzione di parte civile nei confronti degli enti i cui dipendenti e rappresentanti sono sotto processo per il grave incidente ferroviario del luglio di quattro anni fa, il Tribunale di Milano (dott.ssa Anna Magelli) con ordinanza 2 febbraio 2021 ha escluso che la società ferroviaria coinvolta nell’incidente di Pioltello possa venire convenuta in giudizio dai danneggiati costituiti parte civile.
Il disorientamento giurisprudenziale si è manifestato nell’ambito di processi ex D.Lgs. n. 231/2001 che vedono persone giuridiche nella veste di imputate per non aver impedito ai propri apicali e non apicali di commettere un reato tra quelli rientranti in un catalogo delineato essenzialmente negli articoli 24-26 del citato decreto (c.d. reati presupposto).
Gli enti sono chiamati a rispondere di illeciti amministrativi, di responsabilità amministrative e, se condannati, subiranno sanzioni amministrative: il fatto che detto accertamento avvenga con le forme processuali penali e avanti ad un giudice penale non è ritenuto motivo valido per ammettere la domanda risarcitoria mediante costituzione di parte civile direttamente contro l’ente nel processo che lo vede imputato a norma del D.Lgs. n. 231/2001.
Così ha statuito, esattamente 10 anni fa, la Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza 22 gennaio 2011 n. 2551 della sezione VI penale; così si sono espresse la Corte di Giustizia UE nel 2012 e la Corte costituzionale nel 2014 (sentenza n. 218), sottolineando che l’istituto della costituzione di parte civile non è menzionato nella disciplina del processo contro gli enti e che non si è in presenza di una svista od omissione legislativa, ma di una consapevole scelta del legislatore che pur incentiva in vario modo l’ente a farsi carico dell’eliminazione dei danni causati dall’illecito amministrativo e dalla commissione del reato presupposto (cfr. l’art. 17 sulla riparazione delle conseguenze del reato).
Le ragioni di fondo alla base di detto orientamento giurisprudenziale – assolutamente maggioritario – sono rappresentate dal rilievo che il danneggiato dal reato può avanzare la domanda risarcitoria direttamente contro l’ente in sede civile oppure costituendosi parte civile nel processo a carico della persona fisica imputata del reato e chiamando l’ente nella veste di responsabile civile per il fatto dell’imputato persona fisica (si pensi ad un datore di lavoro persona giuridica).
Soluzione, quest’ultima, di ampio respiro perché non conosce i limiti derivanti dal c.d.sistema 231 che si occupa di un numero sempre crescente di reati, ma non di tutti: esistendone i presupposti, l’impresa può essere citata come responsabile civile in ogni processo penale a carico del proprio rappresentante/dirigente/dipendente, anche se il reato oggetto dell’imputazione è non ricompreso nel ricordato catalogo dei reati presupposto di responsabilità amministrativa degli enti.
In questa prospettiva, ammettere che il danneggiato dal reato possa avanzare domanda di risarcimento nell’ambito del processo a carico dell’ente ex D.Lgs. n. 231/2001, appare un motivo di appesantimento del relativo processo e, soprattutto, una garanzia non necessaria ad assicurare effettiva e maggior tutela della domanda risarcitoria avanzata dai danneggiati dal reato.
Eppure, come si è detto, periodicamente qualche giudice di merito ripropone il tema, ammettendo che l’ente, nel processo a suo carico, debba non solo difendersi dalla responsabilità amministrativa attribuitagli ma anche dalla responsabilità civile derivante dal reato commesso dal suo rappresentante/dirigente/dipendente.
Le ragioni del motivato distacco dall’insegnamento della Suprema Corte sono anche comprensibili (si veda in proposito la motivazione dell’ordinanza del Tribunale di Lecce sopra ricordata), ma vi sono esigenze di equilibrio del sistema che non possono essere accantonate.
Allargare la responsabilità amministrativa degli enti introducendo nuove fattispecie di reato che la determinano (tra le ultime, e più rilevanti, i reati tributari) e affiancare pretese privatistiche alla domanda pubblica portata avanti dal PM significa aggravare (i costi del) la difesa dell’ente in un contesto legislativo che già vede le imprese chiamate a rispondere di oneri propri ed impropri. Si pensi alla vexata quaestio della responsabilità per infortunio sul lavoro dell’ente datore di lavoro per non aver vaccinato i dipendenti o non aver preteso la vaccinazione in un contesto in cui l’obbligo di vaccinazione non è legislativamente stabilito (cfr. art. 23 Cost.), ma nel quale si evoca l’art. 2087 c.c. come possibile fonte – implicita – di detto obbligo e si contrappongono il divieto di indagini di cui allo Statuto dei lavoratori e la tutela della privacy del lavoratore ( su cui si veda l’intervento del garante per la protezione dei dati personali nel corrente mese).
Si sente sempre più la necessità di un intervento legislativo che risponda alle esigenze e agli interrogativi posti dall’emergenza sanitaria e che non consenta fughe in avanti a una parte della giurisprudenza: un recente intervento del procuratore aggiunto presso il tribunale di Milano, Eugenio Fusco, è proprio nel segno di una riforma che consenta agli enti assoggettati al sistema 231 di meritarsi, attraverso una condotta riparatoria, un epilogo giudiziario che ne conservi la capacità vitale ed operativa.
Tolleranza zero, ma nessuno spazio ad accanimento anti-imprenditoriale che, traducendosi in minori investimenti e minore capacità operativa, aggraverebbe le già compromesse condizioni occupazionali.
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IPSOA Quotidiano
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