Il lavoratore che si rifiuta di servire il cliente che non indossa la mascherina esercita il proprio diritto, costituzionalmente tutelato, a svolgere la propria prestazione in condizioni di sicurezza, considerando che essa lo esporrebbe ad un rischio di danno alla persona.
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- On Febbraio 5, 2021
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Pubblichiamo una recentissima sentenza con cui il Tribunale di Arezzo dichiara che il lavoratore che si rifiuta di servire il cliente che non indossa la mascherina esercita il proprio diritto, costituzionalmente tutelato, a svolgere la propria prestazione in condizioni di sicurezza, considerando che essa lo esporrebbe ad un rischio di danno alla persona.
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del popolo italiano
TRIBUNALE DI AREZZO
in composizione monocratica, in persona del giudice del lavoro, dott. Giorgio Rispoli, all’esito della trattazione scritta del presente giudizio come previsto dalla decretazione emergenziale, a norma dell’art. 83, comma settimo, lett. h), D.l. n. 18/20, conv. Lg. n. 27/20, a seguito della lettura delle note scritte autorizzate
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. (omissis)
CONCLUSIONI
Le parti hanno concluso come da rispettivi scritti difensivi.
Fatto e Diritto
(art. 132 comma II n. 4 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c., come novellati dalla l. 69/09 del 18.6.2009).
Con ricorso depositato in data 4.8.2020, (omissis) propone opposizione all’ordinanza del 7.7.2020 con la quale, (omissis) dipendente in servizio al punto vendita di (omissis), è stato reintegrato nel posto di lavoro, avendo il Tribunale ritenuto l’insussistenza della giusta causa del licenziamento comunicato il 10.4.2020. Sostiene l’opponente che il recesso sarebbe assistito da giusta causa per avere il dipendente, durante il turno notturno di servizio, “detto ad un cliente che se non avesse avuto la mascherina di protezione, non gli avrebbe fatto la transazione in cassa per l’acquisto di due prodotti del market” (due pacchetti di sigarette); che il (omissis) risulterebbe “inadempiente nei confronti dei suoi obblighi contrattuali” per aver “disatteso le indicazioni aziendali previste in questo periodo di emergenza sanitaria”, e aver “danneggiato gravemente l’immagine aziendale”.
Si costituisce ritualmente l’opposto chiedendo la reiezione della pretesa ex adverso formulata, in quanto asseritamente infondata in fatto e in diritto.
Assume, in particolare, il (omissis) che sarebbe stato il cliente a reagire dando del ladro a lui e all’impresa.
Istruita in via esclusivamente documentale, la causa viene trattata in modalità cartolare, come previsto dalla decretazione emergenziale, a norma dell’art. 83, comma settimo, lett. h), D.l. n. 18/ 20 conv. Lg. n. 27/20 – e contestualmente decisa – a seguito di camera di consiglio non partecipativa, successiva al deposito di note scritte, in data odierna.
L’opposizione è infondata e deve essere respinta.
L’assenza di specifiche contestazioni da parte dell’odierna opponente consente di ritenere provato che:
– l’avventore si avvicinò al (omissis) senza mascherina o presidio alternativo.
– Il (omissis), con normale interlocuzione, gli disse che “per avvicinarsi si poteva coprire con il collo della felpa (come fanno tanti sprovvisti di mascherina)”.
– L’avventore rispose “che le mascherine le portano i malati”; e gli disse che “noi (società e dipendenti) siamo dei ladri che gli prosciugano lo stipendio e che mentre prima lo facevamo a viso scoperto ora lo facciamo con le maschere”.
– Disse, ancora, “che avrebbe chiamato la Polizia – e, poi, – si è allontanato”.
Pertanto – anche accogliendo la prospettazione di fatto propugnata da (omissis) – le frasi attribuite al (omissis) non integrano “gravi offese alla dignità” né quanto accaduto consiste in “gravi fatti di pregiudizio agli interessi del proprietario… della clientela” (art. 213 CCNL di settore).
Le frasi attribuite non sono né ingiuriose né offensive; tanto meno sono “gravi” e ancor meno sono state percepite per tali.
Non sono offese in sé e anche perché il cliente non le ha ritenute tali tanto che si è lamentato per la “scortesia” usando Facebook (Cfr. doc. n. 4 memoria opponente).
Al più costituiscono una reazione verbale giustificata dall’esasperazione per una condotta altrui omissiva, denotante ignorante sottovalutazione del fenomeno pandemico, accompagnata da frasi villane e sprezzanti della salute propria e degli altri clienti, oltreché del cassiere.
Né “grave fatto” fu il rifiuto del servizio perché, anche a prescindere che fu condizionato all’invito a coprirsi con la felpa, non recò pregiudizio per un mancato acquisto di un pacchetto di sigarette (e non di prodotti (omissis)).
Manca poi qualsiasi elemento di gravità per quanto accaduto.
La gravità morale ed economica è parte integrante della fattispecie di illecito disciplinare contestata al (omissis) e non risulta né dedotta, né provata alcun elemento che possa farla apparire.
La condotta censurata da parte datoriale è, pertanto, inidonea a ledere definitivamente la fiducia alla base del rapporto di lavoro, così non integrando violazione del dovere di fedeltà posto dall’art. 2105 c.c. né, tantomeno, giusta causa di licenziamento.
Occorre inoltre sottolineare che – nella fattispecie – il lavoratore si è limitato ad esercitare il proprio diritto, costituzionalmente garantito, a svolgere la propria prestazione in condizioni di sicurezza.
L’esimente dello stato di necessità gli consentiva del resto, pur in assenza di una specifica disposizione di legge, anche di astenersi dal lavoro poiché lo svolgimento della prestazione lo esponeva ad un rischio di danno alla persona.
Alla luce di quanto prospettato l’ordinanza conclusiva della prima fase del giudizio deve essere integralmente confermata, anche sotto il profilo economico- risarcitorio. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. L’assenza di questioni giuridiche di particolare rilievo giustifica la liquidazione delle stesse nella misura dei minimi tariffari previsti dallo scaglione di riferimento.
P.Q.M.
L’intestato Tribunale, definitivamente decidendo in ordine alla controversia in epigrafe:
1. RESPINGE l’opposizione;
2. CONFERMA l’ordinanza impugnata;
3. CONDANNA parte opponente al pagamento – in favore dell’opposto – delle spese di lite, che liquida in € 3.513,00 oltre spese generali nella misura del 15%, Iva e Cpa come per legge, da distrarsi in favore del procuratore antistatario ove richiesto.
Sentenza resa all’esito della trattazione scritta del presente giudizio come previsto dalla decretazione emergenziale, a norma dell’art. 83, comma settimo, lett. h), D.l. n. 18/ 20 conv. Lg. n. 27/20, a seguito della lettura delle note scritte autorizzate.
Arezzo, 13/01/2021
Il giudice
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