La disciplina del licenziamento in pillole

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  • On Luglio 31, 2018
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di Giuseppe Berretta, Avvocato cassazionista e Docente universitario di Diritto del Lavoro


Il rapporto di lavoro si può risolvere per mutuo consenso o per recesso di una delle parti.
Il recesso del lavoratore  si qualifica dimissioni, il recesso del datore di lavoro si denomina licenziamento.
La parte che recede dal contratto di lavoro deve dare il preavviso.
Il licenziamento è un atto unilaterale recettizio, esso è espressione di un potere datoriale che deve essere esercitato nel rispetto di limiti sostanziali e formali, stabiliti dalla legge e dai contratti collettivi.

1. Limiti sostanziali
Salvo rari casi di libera recedibilità [1], presupposto della legittimità del licenziamento è la sussistenza di una giusta causa [2] o di un giustificato motivo soggettivo o oggettivo [3].
Sono affetti da nullità i licenziamenti discriminatori, intimati in concomitanza di matrimonio, adottati in violazione della disciplina di tutela della maternità o della paternità, causati da un  motivo illecito determinante [4].

2. Limiti formali
Il licenziamento deve essere comunicato in forma scritta, con la contestuale indicazione dei motivi [5].

Nei casi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il datore di lavoro deve far precedere il licenziamento dall’esperimento di una procedura conciliativa in sede amministrativa [6].

Nei casi di licenziamento disciplinare, ovvero per i licenziamenti per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, il datore di lavoro è tenuto al rispetto della procedura prevista dall’art. 7 della legge n. 300 del 1970.

L’atto di licenziamento può essere revocato dal datore di lavoro, la revoca può essere effettuata entro 15 giorni dalla comunicazione dell’impugnazione del recesso da parte del lavoratore [7].

Il licenziamento deve essere impugnato dal lavoratore, a pena di decadenza, entro 60 giorni. Tale impugnazione può avvenire anche in via stragiudiziale ma ad essa deve seguire l’impugnazione entro i successivi 180 giorni, tramite deposito di ricorso presso la cancelleria del tribunale del lavoro competente [8].

Il mancato rispetto dei limiti di carattere formale, vizia l’atto di licenziamento.

Esso sarà qualificato come inefficace nel caso di oralità [9] ed illegittimo negli altri casi, con applicazione di tutele differenziate a seconda della gravita della inadempienza e delle dimensioni delle aziende, tutele meglio precisate nel prosieguo della trattazione del tema.

3. I rimendi previsti contro il licenziamento illegittimo.

a. La tutela obbligatoria.
Si tratta della forma di tutela più blanda prevista dal nostro ordinamento giuridico. Essa si applica nel caso di licenziamento illegittimo, in quanto privo di giusta causa o giustificato motivo, allorché il datore di lavoro non rientri nei limiti dimensionali, previsti dall’art. 18 della legge n. 300 del 1970.

In tal caso, il giudice allorché dichiari l’illegittimità del licenziamento, condannerà il datore di lavoro a riassumere il lavoratore ovvero a pagare un’indennità di importo compreso tra 2,5 e 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto [10].

b. La tutela prevista dall’art. 18 della legge 300 del 1970 (cd. Statuto dei lavoratori).
Le tutele previste dall’art. 18 della legge n. 300 del 1970, nell’attuale formulazione derivante dalle modifiche apportate dalla legge n. 92 del 2012,  sono quattro:

-la tutela reintegratoria piena, prevista nell’ipotesi di licenziamento nullo perché discriminatorio, ovvero inefficace in quanto privo della forma scritta, o altrimenti affetto da nullità o determinato da un motivo illecito, ai sensi dell’articolo 1345 del codice civile [11].

In tal caso il Giudice condanna il datore di lavoro alla reintegra del lavoratore nel posto di lavoro in precedenza occupato e condanna altresì: “…al risarcimento del danno, stabilendo a tal fine un’indennità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative. In ogni caso la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità della retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro è condannato inoltre, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali…” [12].

Il lavoratore può rinunziare alla reintegra optando per un’indennità sostitutiva pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto [13].

-La tutela reintegratoria attenuata, prevista per il caso di licenziamento non sorretto da giusta causa o giustificato motivo, perché il fatto non sussiste o rientra tra le condotte punibili con sanzione conservativa [14].

In tal caso, il Giudice annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro “…alla reintegrazione nel posto di lavoro di cui al primo comma e al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore ha percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione. In ogni caso la misura dell’indennità risarcitoria non potrà essere superiore a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto.
Il datore di lavoro è condannato, altresì, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione…”.

Il lavoratore può rinunziare alla reintegra optando per un’indennità sostitutiva pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

-La tutela risarcitoria piena, prevista per i casi meno gravi, ovvero per i casi di illegittimità del licenziamento per carenza di giusta causa o giustificato motivo [15].

In tal caso, il datore di lavoro sarà condannato al pagamento di una indennità risarcitoria di ammontare che va dalle 12 alle 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

Nella determinazione del quantum il Giudice deve tenere conto di taluni parametri, tra cui l’anzianità del lavoratore, il numero dei dipendenti occupati, le dimensioni dell’azienda e il comportamento delle parti.

-La tutela risarcitoria ridotta [16], prevista per i casi di licenziamento illegittimo per ragioni formali o procedurali [17]. In tal caso, si applica il medesimo regime previsto nel caso di tutela risarcitoria piena ma con attribuzione al lavoratore di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata, tra un minimo di 6 e un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione, in relazione alla gravità della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro.

c. La tutela per i lavoratori assunti con contratto a tutele crescenti, a partire dal 7 marzo 2015 (decreto legislativo n. 23 del 2015).

Per i lavoratori assunti a partire dal 7 marzo 2015 [18], si applica una tutela differenziata così articolata:

-La tutela reintegratoria piena [19] prevista per il caso in cui si accerti la nullità del licenziamento ovvero la inefficacia per carenza di forma scritta. In tal caso il Giudice può ordinare al datore di lavoro la reintegra nel posto di lavoro e condannare al risarcimento del danno, “…stabilendo a tal fine un’indennità commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative. In ogni caso la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto..”.
La tutela reintegratoria si applica, altresì, nel caso in cui il giudice accerti il difetto di giustificazione per motivo consistente nella disabilità fisica o psichica del lavoratore, anche ai sensi degli articoli 4, comma 4, e 10, comma 3, della legge 12 marzo 1999, n. 68.
Il lavoratore può rinunziare alla reintegra optando per un’indennità sostitutiva pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto.

-La tutela reintegratoria attenuata [20], trova applicazione esclusivamente nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa in cui sia dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore. In tal caso, il Giudice annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto.

La misura dell’indennità risarcitoria relativa al periodo antecedente alla pronuncia di reintegrazione non può essere superiore a dodici mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto.

Il lavoratore può rinunziare alla reintegra optando per un’indennità sostitutiva pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto.

-La tutela risarcitoria piena [21], nel caso in cui il Giudice accerti l’illegittimità del licenziamento per carenza di giusta causa o giustificato motivo, dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un‘indennità di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a sei e non superiore a trentasei mensilità.

-La tutela risarcitoria ridotta [22], prevista per i casi di licenziamento viziato da difetto di forma o di procedura. Il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità di importo pari ad una mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a due e non superiore a dodici mensilità.

[1] Rientrano in tale ambito i lavoratori domestici,  gli sportivi professionisti, i lavoratori anziani con diritto al pensione di vecchiaia, i lavoratori in prova ed i dirigenti.
[2] La giusta causa, ai sensi dell’art. 2119 c.c., è una ragione che non consenta nemmeno la prosecuzione, anche provvisoria del rapporto lavorativo.
[3] La cui definizione è contenuta nell’art. 3, della legge n. 604 del 1966, il quale testualmente recita: “Il licenziamento per giustificato motivo con preavviso é determinato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro ovvero da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”.
[4] I casi di nullità del licenziamento sono tutti contemplati dall’art. 18, comma 1, della legge n. 300 del 1970, per come riscritto dalla legge n. 92 del 2012.
[5] Ciò ai sensi dell’art. 2, della legge n. 604 del 1966, e ss.mm.ii.
[6] Tale obbligo, introdotto dall’art. 1, comma 40, della legge n. 92 del 2012, riguarda le imprese aventi i requisiti dimensionali previsti dall’art. 18, comma 8, della legge 300 del 1970, ovvero ai datori di lavoro che occupino nella singola unità produttiva o nel medesimo comune più di 15 dipendenti, ovvero nel complesso dell’azienda più di 60 dipendenti.
[7] Gli effetti della revoca sono disciplinati dall’art. 18, comma 10 della legge 300 del 1970, testo in vigore. Esso prevede che la revoca comporti il ripristino del rapporto, senza soluzione di continuità, con diritto del lavoratore alla retribuzione maturata.
[8] Cfr.  art. 6, della legge 604 del 1966.
[9] Il licenziamento orale è trattato alla stregua del licenziamento nullo, ai sensi dell’art. 18, comma 1, della legge 300 del 1970.
[10] Si veda l’art. 8, della legge 604 del 1966
[11] Fattispecie regolamentata dall’art. 18, comma 1, della legge 300 del 1970.
[12] Art. 18, comma 2, della legge n. 300 del 1970.
[13] Art. 1, comma 3, della legge n. 300 del 1970.
[14] Art. 18, comma 4, della legge n. 300 del 1970.
[15] Art. 18, comma 5, della legge n. 300 del 1970.
[16] Art. 18, comma 6, della legge n. 300 del 1970.
[17] Ad esempio, licenziamento comunicato in forma scritta ma privo di motivazione, ovvero in caso di inosservanza delle procedura prevista dall’art. 7, della legge n. 300 del 1970, prevista per il legittimo esercizio del procedimento disciplinare.
[18] Tale disciplina si applica comunque ai lavoratori dipendenti da datori di lavoro rientranti nell’ambito di applicazione della tutela apprestata dall’articolo 18 della legge 300 del 1970.
[19] Art. 2, del decreto legislativo n. 23 del 2015.
[20] Art. 3, comma 2, del decreto legislativo n. 23 del 2015.
[21] Art. 3, comma 1, del decreto legislativo n. 23 del 2015, come modificato dall’art. 3, del decreto legge 87 del 2018.
[22] Art. 4, del decreto legislativo n. 23 del 2015.

 

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