La disciplina del licenziamento collettivo in pillole
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- On Luglio 31, 2018
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di Giuseppe Berretta, Avvocato cassazionista e Docente universitario di Diritto del Lavoro
Nel nostro ordinamento giuridico esistono due fattispecie differenti rientranti nell’ambito di applicazione della disciplina prevista per i licenziamenti collettivi [1], il licenziamento collettivo per riduzione di personale [2] e quello per messa in mobilità [3].
Si applica la disciplina in materia di licenziamento per riduzione di personale, allorché un datore di lavoro con più di 15 dipendenti, intenda effettuare almeno 5 licenziamenti, nell’arco di 120 giorni, e che tali licenziamenti siano conseguenza di una riduzione o trasformazione dell’attività o del lavoro. Di licenziamento per messa in mobilità si tratta nel caso di licenziamento che intervenga durante o a conclusione di un programma di cassa integrazioni guadagni straordinaria.
1. La procedura
In entrambi i casi si deve seguire una procedura, i cui passaggi sono scanditi dall’art. 4 della legge n. 223 del 1991. L’intenzione di procedere ai licenziamenti deve essere comunicata, attraverso la comunicazione preventiva, alle rappresentanze sindacali aziendali e alle associazioni di categoria sindacali e datoriali. Analoga comunicazione deve essere inviata all’organismo pubblico competente.
La comunicazione deve contenere indicazione: – dei motivi che determinano la situazione di eccedenza; – dei motivi tecnici, organizzativi e produttivi, per i quali si ritiene di non poter adottare misure idonee a porre rimedio alla predetta situazione ed evitare in tutto o in parte, il licenziamento collettivo; – del numero, della collocazione aziendale e dei profili professionali del personale eccedente nonché del personale abitualmente impiegato; – dei tempi di attuazione del programma di riduzione del personale delle eventuali misure programmate per fronteggiare la conseguenza sul piano sociale della attuazione del programma medesimo.
In seguito all’invio della comunicazione preventiva, si avvia la cd. fase sindacale, durante la quale, attraverso il confronto con le organizzazioni sindacali, si valuteranno possibili soluzioni alternative ai licenziamento.
La fase sindacale deve esaurirsi entro 45 giorni dall’invio della comunicazione preventiva, potrà concludersi con un accordo sindacale ovvero senza accordo.
In caso di mancato accordo, si aprirà la cd. fase amministrativa, nella quale sarà l’organismo pubblico a promuovere l’incontro tra datore di lavoro ed organizzazioni sindacali, allo scopo di trovare una mediazione.
La fase amministrativa comunque ha una durata massima di 30 giorni, trascorsi i quali il datore di lavoro potrà procede ai licenziamenti, anche in assenza di accordo.
I criteri di scelta dei lavoratori da licenziare variano a seconda che si sia trovato o meno un accordo in sede sindacale.
Nel primo caso sarà l’accordo a stabilire i criteri di scelta, nel secondo, la individuazione dei lavoratori dovrà essere operata in applicazione dei criteri legali [4], in concorso tra loro: a) carichi di famiglia; b) anzianità; c) esigenze tecnico produttive ed organizzative.
L’impresa inoltre, non può licenziare una percentuale di manodopera femminile superiore alla percentuale di manodopera femminile occupata, con riguardo alle mansioni prese in considerazione [5].
Il licenziamento comunque, dovrà essere comunicato individualmente per iscritto, nel rispetto dei termini di preavviso [6].
2. I rimendi previsti contro il licenziamento illegittimo.
a. Il regime sanzionatorio per i licenziamenti intimati a conclusione di una procedura di licenziamento collettivo è stato modificato dalla cd. Legge Fornero (legge n. 92 del 2012), che ha riformulando l’art. 5 della legge n. 223 del 1991. Per cui in tale ambito si applica:.
la tutela reintegratoria piena [7], solo nel caso di inosservanza della forma scritta.
La tutela reintegratoria attenuata [8], in caso di violazione dei criteri di scelta.
La tutela risarcitoria ridotta [9], nel caso di violazione delle procedure previste dall’art. 4 della legge n. 223 del 1991.
b. La tutela per i lavoratori assunti con contratto a tutele crescenti, a partire dal 7 marzo 2015 (decreto legislativo n. 23 del 2015).
Per i lavoratori assunti a partire dal 7 marzo 2015, si applica una tutela differenziata così articolata:
La tutela reintegratoria piena [10] (tutela prevista dall’art. 2 del decreto legislativo n. 23 del 2015), si applica solo nel caso di inosservanza della forma scritta.
La tutela risarcitoria piena [11] (tutela prevista dall’art. 3, comma 1, del decreto legislativo n. 23 del 2015), si applica nel caso di violazione dei criteri di scelta o delle procedure.
[1] Legge n. 223 del 1991
[2] Art. 24, della legge n. 223 del 1991.
[3] Art. 4, della legge n. 223 del 1991.
[4] Art. 5, comma 1, della legge n. 223 del 1991.
[5] Art. 5, comma 2, della legge n. 223 del 1991.
[6] Art. 4, comma 9, della legge n. 223 del 1991.
[7] Art. 10, comma 1, del decreto legislativo n. 23 del 2015. Per cui Il Giudice nel caso i accerti l’illegittimità del licenziamento, dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a sei e non superiore a trentasei mensilità.
[8] Art. 18, commi 1 e 2, della legge 300 del 1970. Per cui in tal caso il Giudice condanna il datore di lavoro alla reintegra del lavoratore nel posto di lavoro in precedenza occupato e condanna altresì: “…al risarcimento del danno, stabilendo a tal fine un’indennità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative. In ogni caso la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità della retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro è condannato inoltre, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali…”.
[9] Art. 18, comma 4 della legge n. 300 del 1970. In tal caso, il Giudice annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro “…alla reintegrazione nel posto di lavoro di cui al primo comma e al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore ha percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione. In ogni caso la misura dell’indennità risarcitoria non potrà essere superiore a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro è condannato, altresì, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione…”.
[10] Art. 18, comma 6, della legge n. 300 del 1970, In tal caso si attribuisce al lavoratore un’indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata, in relazione alla gravità della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro, tra un minimo di sei e un massimo di dodici mensilità dell’ultima retribuzione.
[11] Art. 10, comma 1, del decreto legislativo n. 23 del 2015. In tal caso il Giudice può ordinare al datore di lavoro la reintegra nel posto di lavoro e condannare al risarcimento del danno, “…stabilendo a tal fine un’indennità commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative. In ogni caso la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto..”.
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