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INCIDENTE IN TV: PER LA CASSAZIONE NON È INFORTUNIO SUL LUOGO DI LAVORO

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  • On Maggio 23, 2024
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La nota vicenda dell’esibizione durante la trasmissione “Ciao Darwin” che rese paraplegico un partecipante è oggetto della sentenza n° 17679 della IV sezione penale.

É giunta in Cassazione la vicenda dell’uomo che, in seguito ad un esibizione nel corso della nota trasmissione televisiva “Ciao Darwin”, ha riportato una paralisi completa degli arti superiori e inferiori.

Con la sentenza n° 17679, della IV sezione penale, gli Ermellini sono intervenuti sulla nozione specifica di “luogo di lavoro”, ed infatti, nell’esercizio dell’azione penale, la persona offesa era stata qualificata quale lavoratore occasionale dello spettacolo ai sensi dell’art.1, comma 188, della L. n. 296/2006, ragione per la quale era stata contestata l’aggravante speciale prevista dall’art. 590, comma 3, cod. pen. relativo alle “lesioni personali colpose”. 

La sentenza di primo grado

In primo grado, il Tribunale di Roma aveva

rilevato che il riferimento normativo doveva ritenersi inconferente perché specificamente relativo a esibizioni musicali dal vivo in spettacoli o in manifestazioni di intrattenimento o in celebrazioni popolari o folkloristiche effettuate da giovani fino ai diciotto anni di età, da studenti fino a venticinque o da soggetti titolari di pensione

ritenendo inoltre non condivisibile l’equiparazione del concorrente ad una trasmissione televisiva alla figura del lavoratore.

In particolare, il Tribunale ha ritenuto che la persona offesa, quale concorrente di una trasmissione televisiva, non era inserito nell’organizzazione imprenditoriale, non aveva alcun vincolo di subordinazione e non aveva alcun obbligo di prestare la propria opera.

Inoltre, l’incidente non si è verificato all’interno di un ambiente lavorativo, in quanto è avvenuto mentre il concorrente si cimentava in una prova che consisteva nell’attraversare una vasca colma d’acqua saltando su alcuni rullie, dunque in una struttura realizzata a scopo ludico e deputata alle sole prove dei concorrenti nella trasmissione, non potendo quindi considerarsi come luogo di espletamento di una prestazione di lavoro; esponendo che le regole cautelari violate non dovevano intendersi predisposte a tutela dei lavoratori coinvolti nella produzione ma solo dei concorrenti medesimi.

Per tali ragioni, il Tribunale di merito ha ritenuto insussistenti le violazioni contestate in relazione al D.Lgs. n.81/2008 in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro e – non ricorrendo l’aggravante prevista dall’art. 590, comma 3, cod. pen. – ha ritenuto estinto il reato contestato per effetto di intervenuta remissione di querela.

Il ricorso in Cassazione

Avverso la predetta sentenza la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma ha presentato ricorso per cassazione deducendo l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, in relazione all’art.590, comma 3, cod.pen. e agli artt. 18, 22, 23, 28, 36, 37 e 69 del D.Lgs. n.81/2008. 

Ed infatti, il p.m. ha dedotto che alla persona offesa dovesse essere attribuita la qualificazione di lavoratore dello spettacolo e che – in ogni caso – le disposizioni in tema di prevenzione degli infortuni dovevano intendersi dettate a tutela anche di tutti i terzi che comunque si trovino all’interno dell’ambiente lavorativo.

In merito alla qualificazione del luogo in cui è avvenuto l’incidente quale “luogo di lavoro”, il p.m. ha ritenuto errate le conclusioni cui è pervenuto il Tribunale di primo grado, rilevando che:

la struttura in questione costituiva pur sempre un luogo al cui interno venivano espletate prestazioni lavorative; ha quindi osservato che l’infortunio occorso al concorrente si era verificato proprio in conseguenza dell’inosservanza degli obblighi di sicurezza imposti dalla legge a tutela della prevenzione di possibili infortuni connessi al rischio di caduta. 

La Cassazione ha chiarito che:

al fine di delineare la nozione di “luogo di lavoro”, occorre fare riferimento a un criterio di tipo funzionale e relazionale, in base al quale va qualificato come lavorativo un ambiente al cui interno si svolgano prestazioni lavorative e si concretizzi quindi un rischio connesso all’esercizio dell’attività di impresa; criterio dal quale deriva che il datore di lavoro, all’interno del predetto ambiente, caratterizzato dalla concretizzazione del rischio, ha l’obbligo di garantire la sicurezza del luogo nei confronti di tutti i soggetti che ivi si trovino a essere presenti, indipendentemente dalla loro qualificazione sotto la specie della nozione di lavoratore dettata dall’art.2, comma 1, lett.a), D.Lgs. n.81/2008.

Dunque

nella nozione di “luogo di lavoro”, rilevante ai fini della sussistenza dell’obbligo di attuare le misure antinfortunistiche, rientra ogni luogo in cui viene svolta e gestita una qualsiasi attività implicante prestazioni di lavoro, indipendentemente dalle finalità – sportive, ludiche, artistiche, di addestramento o altro – della struttura in cui essa si svolge e dell’accesso ad essa da parte di terzi estranei all’attività lavorativa (Sez. 4, n. 2343 del 27/11/2013, dep.2014, S., Rv. 258435; Sez. 4, n. 12223 del 03/02/2015, dep. 2016, Delmastro, Rv. 266385; Sez. F, Sentenza n. 45316 del. 27/08/2019, Giorni, Rv. 277292; Sez. 4, n. 44654 del 22/09/2022, Mannocchi, Rv. 283751).

Nel caso di specie

deve quindi ritenersi che il Tribunale abbia fatto una corretta applicazione dei principi predetti. Difatti, il giudice dì primo grado ha escluso che l’ambiente in cui si è verificato l’infortunio fosse qualificabile come “luogo di lavoro” ne consegue che il giudice di merito ha correttamente concluso che il rischio connesso all’utilizzo della predetta struttura non fosse espressione di un rischio di tipo lavorativo in quanto non correlato all’attività di impresa e non essendo, di fatto, la stessa collocata in uno spazio definibile come destinato ad attività lavorativa; essendo, a propria volta, la predetta struttura finalizzata non all’espletamento dell’attività lavorativa medesima, ma ad un’attività ludica dalla stessa avulsa e concretizzante un rischio – ovvero quello della caduta – da ritenersi connaturato e consequenziale rispetto al suo utilizzo.

QUI LA SENTENZA COMPLETA

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