Il contratto di rioccupazione: una prima analisi (e alcune criticità)
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- On Giugno 7, 2021
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L’art. 41 del decreto-legge 25 maggio 2021, n. 73, ha introdotto in via eccezionale, dal 1° luglio 2021 e fino al 31 ottobre 2021, il contratto di rioccupazione. Tale contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato è diretto a incentivare l’inserimento nel mercato del lavoro dei lavoratori in stato di disoccupazione ai sensi dell’articolo 19 del decreto-legislativo 14 settembre 2015, n. 150, e cioè i soggetti privi di impiego che dichiarano, in forma telematica, al sistema informativo unitario delle politiche del lavoro, la propria immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa e alla partecipazione alle misure di politica attiva del lavoro concordate con il centro per l’impiego.
Il contratto in oggetto, subordinato all’autorizzazione della Commissione europea, necessita della forma scritta ai fini della prova e deve essere accompagnato dalla definizione, con il consenso del lavoratore, di un progetto individuale di inserimento, della durata di sei mesi, finalizzato a garantire l’adeguamento delle competenze professionali del lavoratore stesso al nuovo contesto lavorativo. A tale contratto, per quanto non espressamente previsto dalla norma, si applicherà la disciplina ordinaria in materia di rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
Con riferimento al lasso temporale individuato dalla norma in commento, occorre chiedersi se la finestra che va 1° luglio al 31 ottobre sia stabilito ai fini della stipula o del termine del contratto. Considerando recenti formulazioni analoghe, come le deroghe alla disciplina dei contratti a termine disposte dall’art. 93 del decreto-legge n. 34/2020 (conv. dalla legge n. 77/2020), l’interpretazione da preferire dovrebbe essere la prima. Dunque, si potrebbe ipotizzare di sottoscrivere, un contratto di rioccupazione il 31 ottobre 2021 con durata di sei mesi fino all’aprile del 2022.
In che modo sarà incentivato l’utilizzo di tale tipologia contrattuale?
Ai datori di lavoro privati, con esclusione del settore agricolo e del lavoro domestico, che assumono lavoratori con il contratto di rioccupazione è riconosciuto, per un periodo massimo di sei mesi, l’esonero dal versamento del 100% dei complessivi contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro, con esclusione dei premi e contributi dovuti all’INAIL nel limite massimo di importo pari a 6.000 euro su base annua, riparametrato e applicato su base mensile. Resta ferma l’aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche. Il beneficio è cumulabile, per il periodo di durata del rapporto successivo ai sei mesi, con gli esoneri contributivi previsti a legislazione vigente.
Ci sono requisiti o limiti da rispettare per ottenere tale beneficio?
La fruizione del beneficio contributivo annesso al contratto di rioccupazione è subordinata al rispetto dei principi relativi agli incentivi all’occupazione di cui all’articolo 31 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 150 (tra cui, ad esempio, il rispetto del diritto di precedenza).
Inoltre, come disciplinato dal comma 6 dell’art. 41 del decreto-legge n. 73/2021, l’esonero contributivo non spetta ai datori di lavoro che, nei sei mesi precedenti l’assunzione, abbiano proceduto a licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo, ai sensi dell’art. 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604 o a licenziamenti collettivi, ai sensi della legge 23 luglio 1991, n. 223, nella medesima unità produttiva.
Occorre poi evidenziare che, sostanziandosi in un beneficio contributivo, la fruizione dell’esonero semestrale sarà subordinata al rispetto di quanto previsto dall’articolo 1, comma 1175, legge. n. 296/2006, ossia: il possesso della regolarità degli obblighi di contribuzione previdenziale, ai sensi della normativa in materia di documento unico di regolarità contributiva (DURC); l’assenza di violazioni delle norme fondamentali a tutela delle condizioni di lavoro e rispetto degli altri obblighi di legge; il rispetto degli accordi e contratti collettivi nazionali, nonché di quelli regionali, territoriali o aziendali, sottoscritti dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
Cosa accadrà al termine del progetto individuale di inserimento?
Se nessuna delle parti intenderà recedere il rapporto proseguirà come ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Il licenziamento al termine del periodo di inserimento, così come quello intimato durante tale periodo, comporterà, invece, la revoca dell’esonero e il recupero del beneficio già fruito.
Parimenti, comporterà le medesime conseguenze il licenziamento collettivo o individuale per giustificato motivo oggettivo di un lavoratore impiegato nella medesima unità produttiva e inquadrato con lo stesso livello e categoria legale di inquadramento del lavoratore assunto con contratto di rioccupazione, effettuato nei sei mesi successivi alla predetta assunzione.
Al contrario non comportano la revoca dell’esonero e il recupero del beneficio già fruito le dimissioni del lavoratore. Nulla stabilisce la norma per quel che concerne la risoluzione consensuale, ma è ipotizzabile che, terminando in tal caso il rapporto in seguito ad un accordo tra le parti, e quindi non rappresentando una decisione unilaterale del datore di lavoro, anch’essa non inciderà negativamente sul beneficio fruito.
Criticità e difficoltà operative
Dunque, la misura appena descritta, sembra avere la finalità virtuosa di provare ad attenuare gli effetti negativi che potrebbero derivare dal termine del blocco dei licenziamenti. Tuttavia, presenta alcune criticità e difficoltà operative che potrebbero disincentivarne l’utilizzo.
Anzitutto, appare una misura analoga, per finalità formative e di inserimento, al contratto di apprendistato ma con maggiori profili di rischio. Dal punto di vista del costo del lavoro, si potrebbe affermare che mentre l’apprendistato comporta una riduzione dell’aliquota contributiva, il contratto di rioccupazione prevede una esenzione totale seppur molto limitata nel tempo, e perciò da questo punto di vista potrebbe risultare più vantaggioso.
Ma occorre considerare che tale beneficio prevede una serie di condizioni da rispettare che rendono l’utilizzo di questa tipologia contrattuale molto più rischiosa del contratto di apprendistato. Come noto, il regime contributivo agevolato dell’apprendistato non rappresenta un beneficio contributivo ex art. 1, comma 1175 della legge n. 296/2006 e dunque non è subordinato ai suoi limiti. Tantomeno esso rappresenta un incentivo all’occupazione e, quindi, non è legato al rispetto dei principi di cui all’art. 31 del decreto legislativo n. 151/2015.
Si rammenta poi che, fatte salve le diverse previsioni di legge o di contratto collettivo, i lavoratori assunti con contratto di apprendistato sono esclusi dal computo dei limiti numerici previsti da leggi e contratti collettivi per l’applicazione di particolari normative e istituti (art. 47, comma 3 del decreto legislativo n. 81/2015).
Fermo restando che all’apprendistato si applicano le sanzioni previste dalla normativa vigente per il licenziamento illegittimo, così come esse si applicano al contratto di rioccupazione, il recesso al termine del periodo di apprendistato non comporta una restituzione dei benefici concessi. In un contesto come quello attuale, caratterizzato da estrema incertezza economica, generata dalle continue chiusure delle attività produttive e commerciali dovute alla pandemia, poter valutare attentamente al termine del periodo formativo se sia opportuno proseguire con il rapporto di lavoro e recedere dal contratto senza costi aggiuntivi, costituisce un grande vantaggio per le imprese. Questa possibilità, come descritto, non è prevista per il contratto di rioccupazione, il cui recesso comporta le onerose conseguenze sopra evidenziate.
Un ulteriore vantaggio della stipula del contratto di apprendistato rispetto al contratto in commento è dato dalla possibilità di retribuire l’apprendista fino a due livelli in meno, oppure in misura percentualizzata, rispetto al minimo tabellare previsto per il livello di inquadramento della qualifica professionale che conseguirà al termine del periodo formativo, secondo il percorso di progressione indicato dalla contrattazione collettiva.
Altra criticità del contratto di rioccupazione è dovuta alle tempistiche individuate. Nel contratto di apprendistato assume rilevanza la formazione che permette all’azienda di investire sullo sviluppo delle competenze. Considerando anche i grandi cambiamenti organizzativi che ha innescato la pandemia, quale garanzia di crescita professionale si offre al lavoratore in un percorso formativo di soli 6 mesi, a fronte dei 36 mesi previsti per l’apprendistato? Tanto considerato, nel contratto di rioccupazione la componente formativa sembra avere caratteri di marginalità, data l’esiguità temporale concessa.
Alla comparazione appena svolta, si potrebbe obiettare che l’apprendistato di cui all’art. 44 del decreto legislativo n. 81/2015 sia destinato soltanto i soggetti di età compresa tra i 18 e i 29 anni, mentre il contratto di rioccupazione ai soggetti di qualsiasi età in stato di disoccupazione.
Si evidenzia, tuttavia, che per i soggetti con età maggiore ai 29 anni, è presente nel medesimo decreto l’apprendistato professionalizzante di cui all’47 comma 4. Tale norma prevede che, ai fini della loro qualificazione o riqualificazione professionale è possibile assumere in apprendistato professionalizzante, senza limiti di età, i lavoratori beneficiari di indennità di mobilità o di un trattamento di disoccupazione (come NASpI e DIS-COLL). Per tale tipologia di apprendistato trovano applicazione, in deroga alle previsioni di cui all’articolo 42, comma 4, le disposizioni in materia di licenziamenti individuali (non si può quindi risolvere liberamente il contratto al termine del periodo formativo).
Credit by:
Francesco Lombardo – Bollettino ADAPT
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