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CONCILIAZIONE: PER LA CASSAZIONE È NULLA SE AVVIENE NEI LOCALI DELL’AZIENDA

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  • On Ottobre 8, 2024
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Secondo la Suprema Corte non si può considerare la “sede sindacale” come un luogo virtuale così come asserito dalla SpA ricorrente perché “i luoghi selezionati dal legislatore hanno carattere tassativo e non ammettono, pertanto, equipollenti”.

Con l’ordinanza n. 10065/2024 la Cassazione è intervenuta in tema di conciliazione sindacale e “sede protetta” precisando che: 

Nel sistema normativo sopra descritto, la protezione del lavoratore non è affidata unicamente alla assistenza del rappresentante sindacale, ma anche al luogo in cui la conciliazione avviene.

I fatti

Col verbale di conciliazione sottoscritto tra la Spa di cui era dipendente e il lavoratore il 15 febbraio 2016., la società si era impegnata a “non dare seguito ai preavvisati licenziamenti collettivi di cui alla lettera di apertura della procedura di mobilità del 24.11.2015 … a condizione che tutte le maestranze manifest(assero) la propria accettazione alla proposta… di riduzione della retribuzione mensile nella misura del 20% dell’imponibile fiscale per il periodo dall’1.3.2016 al 28.2.2018 eventualmente prorogabile per un massimo di altri due anni”; che l’accettazione della proposta doveva avvenire mediante “la sottoscrizione del verbale di conciliazione, da ratificarsi successivamente con le modalità inoppugnabili indicate negli artt. 410 e 411 c.p.c.”; che il lavoratore aveva accettato la proposta di riduzione della retribuzione in misura del 20% allo scopo di scongiurare il rischio di licenziamento; che nel verbale sottoscritto dalle parti si dava atto che “il rappresentante sindacale ha previamente e dettagliatamente informato il lavoratore in merito agli effetti definitivi e inoppugnabili ex art. 2113 quarto comma c.c. della …conciliazione”. 

La sentenza di primo grado e l’appello

Il lavoratore aveva quindi fatto ricorso al tribunale di Napoli che l’aveva accolto dichiarando la nullità del verbale di conciliazione sottoscritto tra le parti. La Corte d’Appello di Napoli ha poi respinto l’appello della società confermando la sentenza di primo grado e condannato la società al pagamento, in favore del lavoratore, della somma di euro 11.186,84, oltre accessori.

Il ricorso in Cassazione

La società ha quindi fatto ricorso in Cassazione affidato ad un unico motivo. 

Il lavoratore ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale condizionato. La società ha depositato controricorso in replica al ricorso incidentale condizionato.

Il motivo del ricorso

Con l’unico motivo di ricorso la società deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 411 c.p.c., 2113 e 2103 c.c. nonché degli artt. 1362, 1363, 1366, 1369 c.c. e degli artt. 2727, 2728 e 2729 c.c. perché la Corte d’appello avrebbe erroneamente giudicato invalida la conciliazione intervenuta tra le parti in quanto svolta presso i locali sede dell’azienda e non presso la sede sindacale.

Secondo la società l’interpretazione data dai giudici di appello è errata perché hanno considerato la “sede sindacale” di cui all’art. 411 c.p.c. come luogo fisico-topografico e non invece come luogo virtuale di protezione del lavoratore, protezione che si realizza attraverso l’effettiva assistenza in sede di conciliazione da parte del rappresentante sindacale cui lo stesso abbia conferito mandato. La società sostiene, infatti,

che è soltanto l’assenza di una effettiva assistenza sindacale, il cui onere di prova grava sul lavoratore, a poter determinare l’invalidità dell’accordo conciliativo, ove pure sottoscritto nella sede “fisica” dell’associazione sindacale e ribadisce che, nel caso in esame, il lavoratore fu assistito dal rappresentante sindacale che partecipò all’incontro e sottoscrisse il verbale.

La sentenza della Cassazione

Secondo la Suprema Corte il ricorso è infondato. 

L’art. 2103, nel testo modificato dal d.lgs. 81 del 2015 applicabile ratione temporis, prevede al sesto comma: 

Nelle sedi di cui all’articolo 2113, quarto comma, o avanti alle commissioni di certificazione, possono essere stipulati accordi individuali di modifica delle mansioni, della categoria legale e del livello di inquadramento e della relativa retribuzione, nell’interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione, all’acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita. Il lavoratore può farsi assistere da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato o da un avvocato o da un consulente del lavoro. 

Inoltre, l’art. 2113 c.c., al primo comma, definisce non valide le rinunzie e le transazioni che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi concernenti i rapporti di cui all’articolo 409 del codice di procedura civile. Il successivo quarto comma, invece, prevede che “le disposizioni del presente articolo non si applicano alla conciliazione intervenuta ai sensi degli articoli 185, 410, 411, 412-ter e 412-quater del codice di procedura civile”.

Questo perché, spiegano gli ermellini, il legislatore ha ritenuto necessaria una forma peculiare di “protezione” del lavoratore, realizzata attraverso la previsione dell’invalidità delle rinunzie e transazioni aventi ad oggetto diritti inderogabili e l’introduzione di un termine di decadenza per l’impugnativa, così da riservare al lavoratore la possibilità di riflettere sulla convenienza dell’atto compiuto e di ricevere consigli al riguardo (così Cass. n. 11167 del 1991 in motivazione). 

Questa forma di protezione giuridica è non necessaria (art. 2113, ultimo comma c.c.) in presenza di adeguate garanzie costituite dall’intervento di organi pubblici qualificati, operanti in sedi cd. protette

Le disposizioni richiamate dall’ultimo comma dell’art. 2113 c.c. individuano quali sedi cd. protette, la sede giudiziale (artt. 185 e 420 c.p.c.), le commissioni di conciliazione presso la Direzione Provinciale del Lavoro, ora Ispettorato Territoriale del Lavoro (art. 410 e 411, commi 1 e 2, comma c.p.c.), le sedi sindacali (art. 411, comma 3, c.p.c.), oltre ai collegi di conciliazione e arbitrato (art. 412 ter e quater c.p.c.). 

Ora, l’accordo conciliativo tra le parti in causa (integralmente trascritto alle pp. 4 e 5 del ricorso per cassazione) è stato concluso ai sensi degli “artt. 410 e 411 c.p.c. e 2113, 4° comma, cod. civ.”, come si legge nell’intestazione, e reca la precisazione che lo stesso è da “ratificarsi successivamente con le modalità inoppugnabili indicate agli artt. 410 e 411 c.p.c.” (v. ricorso p. 5, secondo cpv.). Per la Cassazione è pacifico che tale adempimento non sia mai avvenuto e che l’accordo in esame sia stato sottoscritto dal datore di lavoro e dal lavoratore, alla presenza di un rappresentante sindacale, presso i locali della società. Modalità che non soddisfano i requisiti normativamente previsti ai fini della validità delle rinunce e transazioni in base alle disposizioni richiamate. 

In particolare, la Corte ha precisato che

Nel sistema normativo sopra descritto, la protezione del lavoratore non è affidata unicamente alla assistenza del rappresentante sindacale,  normativa cioè affida la protezione del lavoratore non soltanto all’assistenza del rappresentante sindacale, ma anche al luogo in cui la conciliazione avviene, quali concomitanti accorgimenti necessari al fine di garantire la libera determinazione del lavoratore nella rinuncia a diritti previsti da disposizioni inderogabili e l’assenza di condizionamenti, di qualsiasi genere

Concludono gli ermellini

I luoghi selezionati dal legislatore hanno carattere tassativo e non ammettono, pertanto, equipollenti, sia perché direttamente collegati all’organo deputato alla conciliazione e sia in ragione della finalità di assicurare al lavoratore un ambiente neutro, estraneo al dominio e all’influenza della controparte datoriale.

QUI LA SENTENZA COMPLETA

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