CASSAZIONE: È RITORSIVO IL LICENZIAMENTO NEI CONFRONTI DEL WHISTLEBLOWER
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- On Luglio 9, 2024
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Licenziato per giusta causa per non avere gestito un contenzioso fiscale da 4 milioni di euro, secondo gli ermellini “la Corte territoriale e il Tribunale non hanno tenuto conto del contesto”.
Con la sentenza n. 12688 del 9 maggio 2024 la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza emessa dalla Corte d’appello di Napoli, relativa alla vicenda di un dirigente di un’azienda licenziato per giusta causa per non avere gestito in maniera efficace un contenzioso fiscale dal valore molto elevato.
I fatti
Il dipendente di un’azienda comunale, dopo avere trasmesso diverse segnalazioni all’ANAC e alla Procura regionale della Corte dei conti relativamente a condotte illecite adottate dai vertici aziendali, è stato licenziato per giusta causa “per non avere curato l’impugnativa di un avviso di accertamento per l’importo di Euro 4.000.000”.
Il ricorso
Contro il licenziamento il dirigente ha presentato ricorso giudiziale affermando di non avere alcuna competenza in materia di contenzioso fiscale e sostenendo la natura ritorsiva dello stesso e dunque la sua nullità.
Il lavoratore, infatti, ha denunciato la violazione della normativa in materia di whistleblowing (al tempo contemplata dall’art. 54 bis, d.lgs. 165/01, oggi contenuta nel d.lgs. 24/23.
I primi due gradi di giudizio
Il Tribunale ha rigettato il ricorso del lavoratore, con le seguenti statuizioni:
- 1) esclusione del carattere ritorsivo attesa la giusta causa;
- 2) generale competenza del ricorrente in tutta la materia fiscale, a prescindere dal valore;
- 3) immediata e personale consegna dell’avviso di accertamento all’A.A.
Il successivo ricorso in appello è stato rigettato dalla Corte di Napoli che evidenziava come all’epoca dei fatti, l’uomo fosse al vertice dell’Area Amministrazione e Finanza ed avesse il compito di supportare l’Organo amministrativo e la Direzione Generale con la conseguenza che, seppure in ragione dell’importo la competenza della gestione del contenzioso fiscale era delle due figure apicali (Direttore Generale e Commissario straordinario dell’Azienda), ciò̀ non significava che il reclamante non fosse tenuto ad attivarsi e ad esercitare tutti i poteri necessari per fronteggiare la delicata situazione in cui si trovava coinvolta l’azienda.
Pertanto, la Corte riteneva sussistente la giusta causa del licenziamento del dirigente per essere venuto meno il rapporto fiduciario. Ed infatti, come sostenuto dall’Azienda, il lavoratore aveva avuto conoscenza dell’accertamento fiscale già nel giugno del 2018 e cioè quando vi erano ancora i termini per l’impugnativa. Tale circostanza, a parere della Corte d’Appello di Napoli, rappresenta una causa giustificativa del licenziamento che rende superfluo l’esame del carattere ritorsivo dello stesso.
Il ricorso in Cassazione
Contro tale sentenza il dirigente ha proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi:
- 1) Violazione e falsa applicazione degli artt. 54-bis D.Lgs. n. 165/2001, 115, 116 e 132 cod. proc. civ., 2712 cod. civ.; nullità della sentenza per illegittimo esercizio della discrezionalità̀ nella valutazione delle prove e per violazione dell’obbligo di motivazione; error in procedendo, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e oggetto di discussione tra le parti. In sostanza, “secondo il ricorrente, i giudici di merito, ignorando la configurabilità dell’ipotesi di whistleblowing, hanno “totalmente sorvolato sul primo e principale motivo di doglianza sollevato dal ricorrente, che ha contestato la nullità e l’illegittimità del licenziamento perché irrogato in violazione dell’art. 54-bis D.Lgs. n. 165/2001 (T.U.P.I.) (protezione delle persone che segnalano violazioni di disposizioni normative nazionali o dell’Unione europea che ledono l’interesse pubblico o l’integrità dell’amministrazione pubblica o dell’ente privato, di cui siano venute a conoscenza in un contesto lavorativo pubblico o privato.) avendo questi, negli anni, indirizzato sia all’ANAC, che alla Procura Regionale della Corte dei Conti una serie di segnalazioni in merito a condotte illecite poste in essere dai vertici aziendali (anche attuali)”. Sicché, secondo il ricorrente, il vizio principale dei giudizi di merito risiede nel fatto che non è stato tenuto conto delle circostanze afferenti al whistleblowing di cui è stato autore, senza motivare le ragioni di tale omissione, valutando, quindi, discrezionalmente le prove insiste sul punto, lamentando come sia stato omesso l’esame di un fatto (la sussistenza, appunto, di una fattispecie di “whistleblowing”) decisivo per il giudizio e oggetto di discussione tra le parti”.
- 2) Violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 3 legge n. 604/1966, 7 e 18 legge n. 300/1970, 29 e 35 CCNL Dirigenti Aziende Pubbliche, 115, 116 e 132, cod. proc. civ., 2119, 2712 cod. civ.; nullità della sentenza impugnata per illegittimo esercizio della discrezionalità̀ nella valutazione delle prove e per violazione dell’obbligo di motivazione; error in procedendo; omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e oggetto di discussione tra le parti. Anche il secondo motivo, nel suo sviluppo, muove dal rilievo della “natura ritorsiva del licenziamento in quanto originato dalla sua attività di collaborazione prestata in favore della Procura della Corte dei Conti Campania e culminata in vari giudizi di responsabilità̀ promossi nei confronti dei vertici di ABC per grave danno erariale”.
Le motivazioni della Cassazione
La Cassazione ha ritenuto il ricorso fondato precisando che: “La Corte territoriale ha ritenuto sanzionabile con la massima sanzione espulsiva il difetto di coordinamento con i vertici aziendali ed una non meglio precisata omissione di “doverosi atti di ufficio” che, tuttavia, non risultano supportati dalla chiara indicazione delle disposizioni regolamentari specificamente violate. Risulta, al riguardo, sottolineato che il limite dell’importo sarebbe stato posto solo per la necessità di concordare con gli organi amministrativi le decisioni più importanti restando, per il resto, immutate le competenze procedurali dell’E. Tuttavia, tale affermazione non trova riscontro nelle pure riportate disposizioni regolamentaria da cui si evince sicuramente una attività di supporto propedeutica all’affidamento degli incarichi ai professionisti esterni […]. Neppure emerge con chiarezza se la competenza dell’uomo fosse effettivamente estesa al contenzioso fiscale e tributario […]”.
Inoltre, precisa la Suprema Corte che “la valutazione della giusta causa del licenziamento è posta in relazione al non essersi il dirigente “attivato” e al non aver “esercitato” tutti i “poteri necessari per fronteggiare la delicata situazione in cui si trovava coinvolta l’azienda, situazione che, a ben guardare, non è neppure perfettamente corrispondente al “non aver curato l’ impugnativa di un avviso di accertamento” di cui all’atto di contestazione e comunque senza che sia specificato quali poteri il predetto avrebbe dovuto esercitare, con quali modalità̀ e tempistica. […] Senza dire che la lesione del vincolo fiduciario, così grave “da non consentire neppure la prosecuzione temporanea del rapporto”, è genericamente collegata dalla Corte territoriale alla negativa incidenza sugli interessi aziendali della condotta omissiva per la qualifica ed il ruolo dallo stesso rivestito, anche in questo caso ponendo la suddetta lesione non in relazione alla violazione di precisi obblighi contrattuali(come detto neppure chiaramente esplicitati) ma in rapporto ad una imprecisata condotta non armonizzata con gli obiettivi aziendali e senza che sia chiarito quale effetto causale, nella sequenza procedimentale, essa abbia determinato.
Dalle considerazioni che precedono deriva anche la fondatezza dei rilievi del ricorrente che attengono all’omessa valutazione dell’attività̀ di whistleblower dell’uomo il quale, come è pacifico in atti, aveva presentato varie denunce ex art. 54-bis D.Lgs. n. 165/2001 all’ANAC, alla Procura regionale della Corte dei Conti per la Campania ed alla Prefettura (l’ultima delle quali in data 2/10/2018) aventi ad oggetto condotte illecite poste in essere dai vertici aziendali (e tra questi proprio dal Direttore sul quale, nella prospettazione attorea, sarebbe ricaduta la competenza ad impugnare l’avviso di accertamento oggetto di causa) oltre che alla successiva collaborazione prestata dal predetto nell’indagine avviata dalla Procura Regionale della Corte dei Conti Regione Campania nei confronti dell’Azienda.”,
Il licenziamento ritorsivo
Secondo gli ermellini “Se è vero, infatti, che in tema di licenziamento ritorsivo, il motivo illecito, determinante ed esclusivo, richiede il previo accertamento dell’insussistenza della causale posta a fondamento del licenziamento (cfr. Cass. n. 9468 del 2019; Cass. n. 6838 del 2023), pare al Collegio che la Corte territoriale non abbia correttamente sorvolato sull’accertamento della violazione dell’art. 54-bis D.Lgs. n. 165/2001 e dei previsti obblighi di protezione, trincerandosi sulla ritenuta sussistenza di una giusta causa, come detto oggetto dei suddetti fondati rilievi. Tanto, in ragione delle indicate denunce, della tempistica dell’irrogato provvedimento espulsivo rispetto all’avvenuta conoscenza, a mezzo di formali inviti a dedurre inviati dalla Procura generale della Corte dei Conti a dirigenti e consigliori di amministrazione dell’Azienda, delle dichiarazioni rese dal dirigente, del prospettato progressivo ridimensionamento delle sue attribuzioni – essendo stato il predetto, come si assume, tra l’altro “sollevato dalla responsabilità della Regolazione tariffaria e rapporti con le autorità competenti” tanto da essere indotto a presentare, già prima del provvedimento espulsivo, ulteriori esposti all’ANAC sul presupposto di aver subito ritorsioni a causa delle segnalazioni e denunce -, ridimensionamento rispetto al quale è dissonante l’affermata – decisiva – competenza in ordine alle strategie da adottare per fronteggiare la delicata situazione dell’Azienda.
L’allegazione, da parte del lavoratore, del carattere ritorsivo del licenziamento intimatogli non esonera il datore di lavoro dall’onere di provare l’esistenza della giusta causa o del giustificato motivo del recesso; solo ove tale prova sia stata almeno apparentemente fornita incombe sul lavoratore l’onere di dimostrare l’illiceità del motivo unico e determinante (l’intento ritorsivo) che si cela dietro il negozio di recesso (Cass. n. 6501 del 2013; Cass. n. 23149 del 2016; Cass. n. 26035 del 2018; Cass. n. 28399 del 2022; Cass. n. 3548 del 2023). È stato altresì precisato che in tema di licenziamento ritorsivo, l’accoglimento della domanda di accertamento della nullità̀ è subordinata alla verifica che l’intento di vendetta abbia avuto efficacia determinativa esclusiva della volontà̀ di risolvere il rapporto di lavoro, anche rispetto ad altri fatti rilevanti ai fini della configurazione di una giusta causa o di un giustificato motivo di recesso, essendo da escludere ogni giudizio comparativo fra le diverse ragioni causative del recesso, ossia quelle riconducibili ad una ritorsione e quelle connesse, oggettivamente, ad altri fattori idonei a giustificare il licenziamento (Cass. n. 21465 del 2022; Cass. n. 21465 del 2022; Cass. n. 26395 del 2022; Cass. n. 6838 del 2023 cit.).
Come sottolineato anche dalla Casazione n. 14093 del 2023 la segnalazione ex art. 54-bis del D.Lgs. n. 165 del 2001 (cd. “whistleblowing”) sottrae alla reazione disciplinare del soggetto datore tutte quelle condotte che, per quanto rilevanti persino sotto il profilo penale, siano funzionalmente correlate alla denunzia dell’illecito, risultando riconducibili alla causa di esonero da responsabilità̀ disciplinare di cui alla norma invocata (al riguardo, vedi anche: Corte EDU, Grande Camera, Haletc. Lussemburgo del 14 febbraio 2023).
Orbene, nello specifico, se il fatto omissivo contestato allavoratore non appare in sé direttamente collegabile alle denunce dallo stesso presentate, tuttavia è il contesto in cui l’addebito disciplinare si inserisce e il dedotto esautoramento di attribuzioni, anche in un’ottica di individuazione delle competenze del predetto, che assumono rilevanza al fine di meglio delineare la relativa responsabilità̀. Le ragioni sottese ai sopra sintetizzati motivi di impugnazione appaiono, dunque, legate l’una all’altra in un rapporto di inscindibile connessione, né poteva la Corte territoriale trattare atomisticamente le questioni poste dall’appellante, prescindendo da una contestualizzazione della vicenda all’interno della quale si è inserito il provvedimento espulsivo”.
Conclusivamente il ricorso principale è stato accolto.
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