PREVENZIONE: SE IL DATORE DI LAVORO NON LAVA I DPI AL LAVORATORE SPETTA UN RISARCIMENTO
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- On Giugno 19, 2024
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Sentenza della Corte di Cassazione sui dispositivi di protezione individuale in conformità con l’art. 2087 del codice civile relativo alla tutela delle condizioni di lavoro.
É stato accolto il ricorso in Cassazione di un lavoratore che aveva richiesto all’azienda per cui lavorava ilrisarcimento del danno patrimoniale derivante dal mancato lavaggio di indumenti usati come Dispositivi di Protezione Individuale.
I primi due gradi di giudizio
In primo grado, il tribunale di Napoli ha respinto la domanda di risarcimento del danno conseguente al mancato lavaggio di indumenti quali Dispositivi di Protezione Individuale presentata da un dipendente di una S.p.a. con mansioni di operaio specializzato della manutenzione.
La Corte territoriale, richiamati alcuni precedenti di merito ai quali ha inteso uniformarsi (tra cui la sentenza n. 515 del 2018 della Corte di Appello di Salerno), ha ritenuto che l’inadempimento dell’azienda all’obbligo di manutenzione degli indumenti forniti al personale “non autorizza alcuna automatica conclusione nel senso della responsabilità patrimoniale della datrice di lavoro”, occorrendo “il positivo accertamento di un pregiudizio concretamente subito dall’attore quale conseguenza dell’accertato illecito contrattuale del datoredi lavoro”; ha quindi considerato generiche le allegazioni fornite in proposito dal lavoratore, inammissibile la prova orale richiesta e insufficiente la documentazione versata.
La Corte di Appello, successivamente, ha confermato la pronuncia di primo grado.
Il ricorso in Cassazione
Il lavoratore, dunque, ha proposto ricorso in Cassazione con due motivi ai quali la società ha resistito con controricorso;
Col primo motivo di ricorso, il lavoratore ha denunciato la violazione e falsa applicazione di legge ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., in relazione all’art. 77 del d.lgs. n. 81/2008 sugli obblighi del datore di lavoro, nonché dell’art. 2087 c.c., relativo alla tutela delle condizioni di lavoro.
In particolare, il ricorrente ha criticato
la sentenza impugnata per non aver considerato l’obbligo della datrice di lavoro “di mantenimento in stato di efficienza degli indumenti di lavoro inquadrabili nella categoria di D.P.I., ivi compreso l’obbligo di igienizzazione centralizzata o della predisposizione di una procedura periodica di lavaggio come scaturente proprio dal generale dovere del datore di lavoro di adottare tutte le misure e le cautele idonee a preservare l’integrità psicofisica del lavoratore.
Con il secondo motivo di ricorso, il lavoratore ha denunciato la violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 e 1226 c.c., rispettivamente sul risarcimento del danno e valutazione equitativa del danno,
per avere la Corte territoriale negato il risarcimento nonostante il lavoratore avesse allegato, senza contestazioni, “di essersi occupato della manutenzione con interventi programmati o straordinari su binari, traverse, ponti, impianti elettrici ed in genere sul materiale rotabile, per cui è stato obbligato ad indossare costantemente i dispositivi di protezione individuale idonei a salvaguardare la propria incolumità e a prevenire rischi per la sicurezza quali giubbotti ad alta visibilità, guanti sia isolanti che da manutenzione, scarpe antiinfortunistiche, caschi, cinture, pantaloni, gilet e tute”. Inoltre, deduce che la stessa Corte napoletana, in casi analoghi, aveva ritenuto che “ben potesse provvedersi alla liquidazione del danno in via equitativa considerata, […], l’impossibilità di stabilirne il preciso ammontare considerato che lo stesso avveniva in ambito domestico o, al più, in lavanderia;
La sentenza della Cassazione
Con ordinanza n. 13283 depositata il 14 maggio 2024, la Corte di Cassazione, sezione lavoro, ha rilevato che motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente per connessione, devono trovare accoglimento, nei limiti di ammissibilità delle censure proposte, che sono fondate secondo quanto già statuito da questa Corte in fattispecie analoga (v. Cass. n. 12710 del 2023 – resa sulla sentenza n. 515/2018 della Corte di Appello di Salerno richiamata dalla pronuncia qui impugnata – alla quale si rinvia per ogni ulteriore aspetto anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c.; v. pure Cass. n. 32865 del 2021 e Cass. n. 11069 del 2023); va premesso che, in conformità con l’art. 2087 cc, norma di chiusura del sistema di prevenzione degli infortuni e malattie professionali, suscettibile di interpretazione estensiva a ragione sia del rilevo costituzionale del diritto alla salute sia dei principi di correttezza e buona fede cui deve ispirarsi lo svolgimento del rapporto di lavoro, il datore di lavoro è tenuto a fornire i Dispositivi di Protezione Individuale ai dipendenti e a garantirne l’idoneità ai fini di prevenirne l’insorgenza e il diffondersi di infezioni provvedendo al relativo lavaggio, che è indispensabile per mantenere gli indumenti in stato di efficienza (tra le altre: Cass. n. 16749 del 2019);in questa ottica l’obbligo di sicurezza richiede che nei confronti del datore di lavoro sia ravvisabile una condotta commissiva o omissiva, sorretta da un elemento soggettivo, almeno colposo, quale il difetto di diligenza nella predisposizione di misure idonee a prevenire ragioni di danno per il lavoratore (Cass. n. 15112 del 2020; Cass. n. 26495 del 2018).
Il lavoratore, dunque, quale creditore dell’obbligo di sicurezza, deve allegare la fonte da cui scaturisce l’obbligo suddetto e l’eventuale scadenza del termine e l’inadempimento; mentre il datore di lavoro ha l’onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno (tra le altre: Cass. n. 26945 del 2018; Cass. n. 2209 del 2016);
In questo caso, dunque,
non doveva essere il lavoratore a dovere allegare i fatti in ordine alla dimostrazione dell’effettivo utilizzo del D.P.I. per tutta la esecuzione del rapporto di lavoro ovvero circa le modalità, frequenza e numero dei lavaggi, ma una volta ritenuto “l’inadempimento dell’azienda all’obbligo di manutenzione degli indumenti forniti al personale”, come opinato dai giudici di seconde cure, avrebbe dovuto essere il datore di lavoro ad allegare e dimostrare i fatti impeditivi della richiesta risarcitoria fondati sul non uso o sulla ininfluenza dei mancati lavaggi (in termini Cass. n. 12710/2023 cit., che richiama Cass. n. 9856 del 2002);
Una volta che
il danno era sicuramente certo nella sua esistenza ontologica perché la società non aveva dimostrato di avere adempiuto ai lavaggi”, lo stesso poteva essere determinato in base a una liquidazione equitativa (in termini, Cass. n. 11069/2023 cit.).
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