VIOLENZA DOMESTICA: SE NON C’È PARITÀ TRA I PARTNER È MALTRATTAMENTO E NON LITE FAMILIARE
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- On Maggio 10, 2024
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A stabilirlo la Sesta sezione della Corte di Cassazione penale nella sentenza del 12 marzo 2024, che ha respinto il ricorso del maltrattante ai danni della moglie e della figlia di 12 anni.
In una recente sentenza la Suprema Corte di Cassazione, sesta sezione penale, ha ridefinito il limite tra violenza domestica e liti familiari, rigettando il ricorso di un uomo che aveva chiesto, tra l’altro, la qualifica dei maltrattamenti reiterati nei confronti della moglie e della figlia di 12 anni in “liti familiari per motivi economici”.
I fatti
Il Tribunale di Siracusa, con la sentenza del 12 luglio 2021, pronunciata al termine di giudizio abbreviato, ha assolto un uomo, accusato di maltrattamenti ai danni della moglie e della figlia dell’età di 12 anni per: (capo a) insussistenza del fatto; ha dichiarato improcedibile il delitto di violazione di domicilio; (capo c) mancanza di querela e, previa riqualificazione del delitto di tentata estorsione (capo e) in tentato esercizio arbitrario delle proprie ragioni, in continuazione con quello di lesioni aggravate (capo b).
Il Tribunale ha condannato l’imputato alla pena di un anno e due mesi di reclusione con sospensione condizionale della pena e non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale.
Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Catania, previo esame dibattimentale della persona offesa ha poi accolto l’appello del P.M. e condannato l’uomo per il delitto di maltrattamenti aggravati, confermando nel resto la sentenza di primo grado.
Contro la sentenza l’uomo ha presentato ricorso in Cassazione, rilevando, con il primo motivo, la violazione di legge in relazione agli artt. 192 e 533, cod. proc. pen, e art. 6 CEDU, nonché il vizio di motivazione della sentenza in quanto la Corte di appello di Catania, sentita la sola persona offesa, ha ribaltato la sentenza assolutoria di primo grado omettendo la doverosa motivazione rafforzata sia in ordine all’abitualità delle condotte vessatorie tenute dal ricorrente, sia rispetto al dolo del reato.
Con gli ulteriori motivi il ricorrente ha dedotto la violazione di legge in relazione agli artt. 192 cod. proc. pen. e 6 CEDU, ed il vizio di motivazione con riferimento alla circostanza aggravante dell’aver commesso il fatto ai danni di minorenne.
La sentenza
Secondo gli ermellini il ricorso è infondato.
La Corte di Cassazione ha infatti precisato che: “L’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen. stabilisce che “nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale”. Inoltre il giudice d’appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231679; da ultimo Sez. 3, n. 16131 del 20/12/2022, dep. 2023, B., Rv. 284493), rendendo ostensibili i canoni di apprezzamento seguiti per consentire li controllo in sede di impugnazione (Sez. ,3 n. 16131 del 20/12/2022, B., cit.).
Ora la sentenza impugnata è stata pronunciata previa rinnovazione dell’esame della persona offesa, il cui esito ha condotto i Giudici di merito alla riforma della sentenza di assoluzione non per un diverso apprezzamento dell’attendibilità delle dichiarazioni della testimone, peraltro già valutata tale dal Tribunale, ma in forza di una più puntuale descrizione dei fatti denunciati, della loro continuità e dell’aggravarsi delle violenze, fisiche (con pugni, pedate, spinte, lancio di oggetti) e verbali (pesanti insulti), ai danni della donna e della bambina, anche a causa della condizione di tossicodipendenza dell’uomo che lo portava a pretendere violentemente il denaro della moglie quando era in crisi di astinenza”.
Dalla “lettura globale dei singoli episodi denunciati, la sentenza impugnata ha collocato le condotte dell’uomo in una precisa modalità relazionale, discriminatoria e violenta, imposta ordinariamente alla moglie e alla figlia, volta ad imporre la propria autorità”.
La giurisprudenza nazionale e sovranazionale
A parere della Suprema Corte, nella sentenza impugnata i fatti sono stati correttamente qualificati come maltrattamenti in adesione all’orientamento consolidato della Cassazione in materia di violenza domestica, anche alla luce delle fonti sovranazionali (Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica dell’11 maggio 2011, ratificata con la legge 27 giugno 2013, n. 77, detta Convenzione di Istanbul) e della giurisprudenza della Corte E D (sentenze Talpis c. Italia del 2 marzo 2017, I.M. e altri .c Italia del 10 novembre 2022; Landi .c Italia del 7 aprile 2022; MS.. .c Italia del 7 luglio 2022; De Giorgi c. Italia del 16 luglio 2022).
La giurisprudenza più recente della Corte ha posto in rilievo il fatto che la confusione tra maltrattamenti e liti familiari avviene quando non si esamina e, dunque, non si valorizza l’asimmetria, di potere e di genere, che connota la relazione e di cui la violenza costituisce la modalità più visibile (v., in motivazione, Sez. 6, n. 37978 del 03/07/2023, B., Rv. 285273).
La Cassazione rileva infatti che: “La linea distintiva tra violenza domestica e liti familiari è netta. Si consuma il delitto quando un soggetto impedisce ad un altro, in modo reiterato, persino di esprimere un proprio autonomo punto di vista se non con la sanzione della violenza – fisica o psicologica -, della coartazione e dell’offesa e quando la sensazione di paura per l’incolumità (o di rischio o di controllo) riguarda sempre e solo uno dei due, soprattutto attraverso forme ricattatorie o manipolatorie rispetto ai diritti sui figli della coppia. Mentre ricorrono le liti familiari quando le parti sono in posizione paritaria e si confrontano, anche con veemenza, riconoscendo e accettando, reciprocamente, il diritto di ciascuno di esprimere li proprio punto di vista (Sez. 6, n. 37978 del 03/07/2023, cit.; Sez. 6, n. 19847 del 22/04/2022, M., non mass.) e, soprattutto, nessuno teme l’altro”.
QUI LA SENTENZA COMPLETA
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