Sui limiti all’ammissibilità dell’azione di indebito arricchimento nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.
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- On Luglio 23, 2018
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Di Giuseppe Platania, Avvocato, Dottore di Ricerca, Esperto in Diritto del Lavoro.
L’azione di arricchimento senza causa ex articolo 2041 codice civile, posta a tutela di chi ha subito un impoverimento ingiustificato “Chi, senza una giusta causa, si è arricchito a danno di un’altra persona, è tenuto, nei limiti dell’arricchimento, a indennizzare quest’ultima della correlativa diminuzione patrimoniale” riveste natura sussidiaria nel nostro Ordinamento giuridico, ovvero è esperibile – articolo 2042 codice civile – solo nel caso di insussistenza di ulteriori azioni “L’azione di arricchimento non è proponibile quando il danneggiato può esercitare un’altra azione per farsi indennizzare dal pregiudizio subito”.
Per costante e consolidata giurisprudenza, la domanda di arricchimento senza causa è inammissibile, ove proposta dall’opposto nel giudizio incardinato ai sensi dell’art. 645 c.p.c. avverso il decreto ingiuntivo dallo stesso conseguito per il pagamento di un credito di natura contrattuale, “non potendo egli far valere in tale sede domande nuove rispetto a quella di adempimento contrattuale posta alla base della richiesta di provvedimento monitorio, salvo quelle conseguenti alla domanda ed alle eccezioni in senso stretto proposte dall’opponente, determinanti un ampliamento dell’originario “thema decidendum” fissato dal ricorso ex art. 633 c.p.c.” (così Cass. Sez. III sent. n. 8582 del 9.4.2013).
La Suprema Corte, con sentenza delle Sez. U. n. 26128 del 27.12.2010, ha chiarito che “le domande di adempimento contrattuale e di arricchimento senza causa, quali azioni che riguardano entrambe diritti eterodeterminati, si differenziano, strutturalmente e tipologicamente, sia quanto alla “causa petendi” (esclusivamente nella seconda rilevando come fatti costitutivi la presenza e l’entità del proprio impoverimento e dell’altrui locupletazione, nonché, ove l’arricchito sia una p.a., il riconoscimento dell’utilitas da parte dell’ente), sia quanto al “petitum” (pagamento del corrispettivo pattuito o indennizzo)”.
Sulla scorta delle richiamate enunciazioni di principio, la Corte di Appello di Catania, in una interessante sentenza, ha tratto motivo per affermare che nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo – al quale si devono applicare le norme del rito ordinario, ai sensi dell’art. 645 comma 2, e, dunque, anche l’art. 183 comma 5 c.p.c. – la domanda di arricchimento senza causa avanzata con la comparsa di costituzione e risposta dall’opposto, che riveste la posizione sostanziale di attore, è ammissibile soltanto qualora l’opponente abbia introdotto nel giudizio, con l’atto di citazione, un ulteriore tema di indagine sì da rendere giustificato l’esame di una situazione di arricchimento senza causa giungendo, in coerenza, a riformare integralmente la pronuncia di primo grado.
Secondo la Corte, infatti, tale ipotesi non si verifica quando con l’opposizione sia negata l’esistenza o la validità del titolo specifico in base al quale è stata proposta la domanda principale d’ingiunzione.
Rimane in ogni caso sullo sfondo, a configurare ulteriore ed assorbente specifico motivo di inammissibilità, in ragione della presenza di una Pubblica Amministrazione, il profilo principe della necessaria sussistenza di un valido contratto tra la stessa e colui che esegue i lavori e servizi, nonché della carenza della sussidiarietà quando esista altra azione esperibile non solo contro l’arricchito, ma anche verso diversa persona.
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