Trasferta e Trasfertismo: la nuova interpretazione normativa e giurisprudenziale dell’art. 51 del T.U.I.R.

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  • On Maggio 7, 2018
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Di Laura Sicari, Avvocato.


In materia di trattamento contributivo dell’indennità di trasferta l’attuale art. 51 T.U.I.R., al comma 5, prevede che le somme erogate ai lavoratori, a fronte di una trasferta fuori dal comune di lavoro, siano esenti fino alla soglia giornaliera di 46,48 euro in Italia e di 77,47 euro all’estero.

Tali esenzioni sono ridotte di un terzo nel caso in cui al lavoratore venga riconosciuto un rimborso a piè di lista delle spese di vitto o di alloggio e di due terzi nel caso in cui l’azienda rimborsi a piè di lista sia le spese per il vitto che per l’alloggio.

Le indennità per trasferte all’interno del comune di lavoro concorrono, invece, alla formazione del reddito imponibile per il lavoratore.

Il comma 6  del medesimo articolo, invece, statuisce un diverso e più rigoroso regime contributivo e fiscale, disponendo che «le indennità e le maggiorazioni di retribuzione spettanti ai lavoratori tenuti per contratto all’espletamento delle attività lavorative in luoghi sempre variabili e diversi, anche se corrisposte con carattere di continuità […] concorrono a formare il reddito nella misura del 50 per cento del loro ammontare».

Dunque, accanto alla figura della “trasferta” (art. 51, comma 5, T.U.I.R.) è stata accostata quella del “trasfertista” (art. 51, comma 6, TUIR) per il quale viene riconosciuto un trattamento contributivo e fiscale più rigido in virtù della natura prevalentemente retributiva dell’indennità corrisposta.

La corretta applicazione dell’uno o dell’altro regime è da anni oggetto di contrasti giurisprudenziali che hanno condotto il legislatore a ricorrere ad una norma di interpretazione autentica al fine di porre rimedio ai dubbi ermeneutici sorti sull’interpretazione della stessa, nonché all’eccessivo contenzioso sorto a causa della rigida interpretazione adottata in concreto dalle Pubbliche Amministrazioni.

La legge 1 dicembre 2016, n. 225, di conversione con modificazioni, del D.L. 193/2016, con l’inserimento dell’art. 7 quinquies , ha fornito l’interpretazione autentica dell’art. 51, c. 6, T.U.I.R. e stabilito che «Il comma 6 dell’articolo 51 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, si interpreta nel senso che i lavoratori rientranti nella disciplina ivi stabilita sono quelli per i quali sussistono contestualmente le seguenti condizioni:

  1. a) la mancata indicazione, nel contratto o nella lettera di assunzione, della sede di lavoro;
  2. b) lo svolgimento di un’attività lavorativa che richiede la continua mobilità del dipendente;
  3. c) la corresponsione al dipendente, in relazione allo svolgimento dell’attività lavorativa in luoghi sempre variabili e diversi, di un’indennità o maggiorazione di retribuzione in misura fissa, attribuite senza distinguere se il dipendente si è effettivamente recato in trasferta e dove la stessa si è svolta.
  4. Ai lavoratori ai quali, a seguito della mancata contestuale esistenza delle condizioni di cui al comma 1, non è applicabile la disposizione di cui al comma 6 dell’articolo 51 del testo unico di cui al citato decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986 è riconosciuto il trattamento previsto per le indennità di trasferta di cui al comma 5 del medesimo articolo 51 le condizioni che devono sussistere per la qualifica di “trasfertista” e la conseguente applicazione del relativo trattamento fiscale e contributivo».

La norma, quindi, ha chiarito in modo inequivocabile che per l’applicazione del regime di cui all’art. 51, comma 6, T.U.I.R. devono sussistere contestualmente tutti i presupposti appena citati, poiché in mancanza di uno solo di essi, dovrà applicarsi il trattamento previsto per le indennità di trasferta di cui al comma 5 del medesimo articolo 51.

Da ultimo, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza del 15 novembre 2017, n. 27093, nel riconoscere natura retroattiva alla suddetta norma di intepretazione autentica, hanno dichiarato la conformità della medesima ai principi costitutizonali di ragionevolezza e tutela del legittimo affidamento delle situazioni giuridiche, nonché a quelli di preminenza del diritto ed equo processo di cui all’art. 6 della CEDU.

Come espressamente chiarito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, infatti, «[…]tale norma retroattiva ha attribuito alla norma interpretata un significato non solo compatibile con il suo tenore letterale ma più aderente alla originaria volontà del legislatore, con la finalità di porre rimedio ad una situazione di oggettiva incertezza del dato normativo, determinata da un persistente contrasto tra la giurisprudenza di legittimità, le Pubbliche Amministrazioni del settore e la variegata giurisprudenza di merito».

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